Quando ho cominciato a studiare Shiatsu tutto era molto semplice. Avevo poche tecniche a disposizione e il tempo mi bastava per usarle tutte. Con il proseguire degli studi mi sono però trovato nella condizione di dover fare delle scelte, le tecniche che imparavo erano tante e ovviamente non potevo sottoporre il mio ricevente a tre ore di trattamento.

Certamente un supporto teorico faceva da guida e la logica mi indirizzava verso un’idea ordinata e il più possibile efficace. Pensare era, inizialmente, il mio strumento di scelta.

La logica però non dava sempre risposte soddisfacenti e il trattamento cominciava ad avere delle zone poco chiare e poco coerenti che portavano incertezza nella mia mano e nella mia attenzione.

Al contempo vedevo agire la mia insegnante in modo del tutto istintivo e che alle mie domande sul “perchè hai fatto questo?” non dava risposte razionali, o meglio trovava una spiegazione al gesto fatto in realtà d’impulso.
Lo faceva e basta, ed io traducevo con “perchè l’ha sentito!”.
Il passaggio del “sentire” era uno step che io solo consideravo, per lei era azione pura, senza sospensioni.

Credo di aver speso diversi anni dominato da questa curiosità,  la mia struttura mentale e poco istintiva cercava una spiegazione a ciò che probabilmente poteva essere tradotto come “intuito”.

Accadeva, nel frattempo, di agire delle volte, in modo istintivo e senza premeditazione, con un gesto non pensato e scaturito dal corpo immediato e fluido. Questi momenti risultavano a conti fatti quelli più efficaci e non di rado risolutivi. Ogni volta, a posteriori, cercavo di capire razionalmente cosa era accaduto.

In questa esplorazione mi sono spesso perso nel confondere l’intuito con la spontaneità, fino poi a comprendere la diversa qualità di queste due dinamiche. Percepivo la spontaneità come sul filo di un rasoio, un passo in più e mi ritrovavo in uno stato di confusione e non aderenza al trattamento.

Un altro insegnante mi diede in quel periodo un consiglio che si dimostrò illuminante.

STRUTTURA – VARIAZIONE – SPONTANEITA’

La spontaneità deve contenere in se la struttura (che  include la tecnica) passando prima per una variazione della struttura stessa. La spontaneità senza struttura è caos.
E’ come se la struttura fosse la radice dell’albero della spontaneità.
Un equilibrio Yin/Yang che oltre a dare stabilità permetteva al corpo di liberarsi senza perdersi.
La qualità dell’intuito si stava delineando nella mia percezione.

Con il tempo ho cominciato a riconoscere la sua pasta energetica e a distinguerlo, non sempre, dai voli pindarici della fantasia e dalle contorsioni nozionistiche della mente.

Procedeva intanto la mia ricerca sul “Tatto Interno”, ascoltare me stesso durante la pratica cominciava ad essere molto frequente e delle volte ero “sveglio” proprio in quel momento magico dell’attività intuitiva. Realizzavo che il movimento che ne derivava, portandomi verso questa o quella zona del corpo del ricevente, era fluido, leggero e quasi sostenuto nel suo andare.
Era come se mi vedessi fare il gesto un attimo prima di farlo. Il corpo non faceva altro che ricalcare una immagine creata della mente spontaneamente.

Per approfondire e comprendere meglio consiglio qui di leggere il precedente articolo su “intenzione e movimento”

I tasselli cominciavano ad incastrarsi, la mia ricerca sul corpo constatava in modo chiaro che le intenzioni del corpo mettevano in movimento tessuti importanti (Fascia) che erano in grado di imprimere al sistema scheletrico/muscolare una direzione.

Intuizione – Intenzione – Fascia – Movimento

L’intuito attivava in pratica un’intenzione che direzionava la fascia che muoveva poi il corpo.
Se l’intenzione di aiutare il mio ricevente era ben focalizzata, l’intuizione rimaneva in quel campo di obbiettivi e mi guidava quindi fisicamente nella scelta.

Con l’esercizio tutti i passaggi intermedi diventavano velocissimi e l’intuizione muoveva il corpo sotto un impulso quasi immediato. La percezione realizzava allo stesso tempo che, per via del meccanismo su descritto (la fascia ha una grande forza), la fatica nel trattamento diminuiva, la fluidità (altra caratteristica della fascia) aumentava e allo stesso tempo non perdevo il senso di aderenza a ciò che stavo facendo.

Tornava con quello che vedevo nella mia insegnante e tornavano anche quelle frasi che spesso sentivo sul senso di rilassamento e pienezza da parte dell’operatore dopo un trattamento andato bene.
Mente e corpo erano allineati, intenzione e movimento radicati in una struttura, liberi di aprirsi all’intuito e di rispondergli in modo coerente e fisico.

“Le mani che vanno dove devono andare” non sono altro che la traduzione in intenzione dell’intuito guidato dal processo di guarigione che è in atto.

Ed ecco che acquistano importanza concetti come l’attenzione, la predisposizione, l’apertura e la connessione con il ricevente. Uno scambio di messaggi che finisce per muovere il corpo nella sua fisicità, addirittura sostenendolo nello sforzo della pratica (quando il corpo si muove con la fascia c’è meno fatica).

Ovviamente questo è solo uno dei modi per lavorare sull’intuito ed è quello su cui si focalizza il Tatto Interno, traducendo gli stimoli in movimento corporeo. Inoltre, l’intuito si comporta spesso come un’anguilla, scivolosa e sfuggente, confondendosi con altri impulsi e perdendo a volte la sua continuità.

La nostra condizione fisica ed energetica, la nostra capacità di focalizzarci in modo rilassato e la connessione con l’altro possono ovviamente creare un terreno fertile a questo tipo di informazione, ma non siamo soli nel condurre il gioco, chi riceve il nostro tocco è parte fondamentale del processo e lo influenza.

Sintonizzarsi e connettersi sono forse la vera magia in un trattamento, ciò che ne consegue è un regalo della consapevolezza in grado di “intuire” la cosa giusta da fare.

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