Desidero esporre e motivare la mia visione su questo argomento ampiamente discusso. Ritengo che non sia necessario trovare una soluzione unica per tutte le situazioni, ma può essere utile focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti. La libertà di espressione e la creatività sono valori fondamentali sia nella danza che nella musica, ma bisogna fare molta attenzione; un danzatore difficilmente potrà influenzare tutto il gruppo, cosa che invece è nelle potenzialità del suono che pervade tutto lo spazio. Spero anche che queste righe possano risultare utili ai musicisti che intendono avvicinarsi alla CI.
Alcuni anni fa, all’interno di una stessa Jam, mi sono trovato a alternare più volte il ruolo di musicista e danzatore. In quella circostanza, ho compreso un concetto che ho già ampiamente spiegato nelle pagine precedenti: l’impulso iniziale all’improvvisazione, a prescindere dal tipo di espressione, è sempre lo stesso.
Osservando i grandi musicisti di improvvisazione, possiamo notare quanto siano fisicamente attivi, in uno stato di tensione rilassata (come i danzatori) dovuta ai sensi sempre accesi e vigili. Il loro coinvolgimento deriva dall’attività concentrata del sistema nervoso, che pervade fisiologicamente ogni parte del corpo.
Il musicista che improvvisa nella CI dovrebbe risultare fisicamente acceso, coinvolto nel movimento osservato e, grazie ai neuroni specchio, sperimentare sensazioni simili. Non di rado, infatti, si vedono musicisti muoversi nello spazio della Jam, talvolta entrando addirittura nelle danze. Lo sguardo del musicista deve essere necessariamente, per buona parte del tempo, sul danzatore, a scapito dell’occhio sul proprio strumento, del quale deve avere una buona padronanza. Il danzatore, per ovvie ragioni, non può guardarlo ma si connette attraverso l’ascolto uditivo.
Danzatori e musicisti che improvvisano si trovano quindi, a un livello primario di intenzione, nello stesso stato. La collaborazione richiede una risonanza (necessaria per una vera connessione) e un obiettivo comune. Tale obbiettivo, visto che siamo in una Jam di CI, è ovviamente legato alla danza e non alla musica, che rappresenta un elemento aggiuntivo di ricchezza. La classica dinamica delle persone che danzano sulla musica è qui di certo fuori luogo, ma siamo sicuri che, anche se in forma minore e poco consapevole, questo non accada? Se l’energia sale e scende in base alla musica dovremmo porci questa domanda.
Cosa accade quando i danzatori sono numerosi, come nel caso di una Jam? Credo che quando più persone condividono uno stesso spazio con disponibilità, apertura e obiettivi comuni, si crei una sorta di atmosfera, risultante da tutte le essenze risonanti, che rappresenta un’unità con cui il musicista può relazionarsi. Il suonatore può contribuire, senza imporsi, alla creazione di un’unità di gruppo o concentrarsi in momenti diversi su uno o più danzatori. Se il suo obiettivo è sostenere il gruppo, la sua sensibilità lo guiderà nel miglior modo possibile. La percezione assume un ruolo cruciale, pari a quella dei danzatori.
La musica occupa spazio. È una sensazione energetica, ma spesso condivisa. In molte situazioni, avvertiamo che l’aria sembra satura e incapace di contenere ulteriori suoni. Le note diventano confuse, poco distinte, e sentiamo il bisogno di silenzio. Si percepisce caos. La musica, a differenza di un corpo, si espande in tutta la sala e ha quindi un potere riempitivo considerevole. Musica e danza dovrebbero condividere lo stesso spazio, pur lasciandone una parte libera, essenziale per la libertà di movimento e nuove possibilità.
Quello che descrivo qui non è sul piano temporale, alternanza musica e silenzio, ma sul piano della densità e della presenza.
Troppi suoni possono alterare la percezione uditiva, impedendole di registrare stimoli più sottili (ricordate la mosca e le pietre?) e disponendola solo alla ricezione di un maggior volume, che finirà inevitabilmente per inquinare lo spazio e la sensibilità dei danzatori. Un’immagine interessante potrebbe essere quella di corpi che trovano spazio tra le note per muoversi e danzare.
Un ampio capitolo riguarda il tipo o il genere di musica. Mi torna in mente quanto affermava Nancy Stark Smith: “Il ritmo altera il nostro rapporto con la gravità.” È vero, conferisce una cadenza ritmica che ci porta nella sua dinamica, facendoci perdere la percezione del nostro corpo e della relazione con il partner. Il ritmo ci sostiene, ma ci uniforma e ci imprime una ripetizione, antitesi dell’improvvisazione, togliendoci una certa libertà. Possiamo interpretarlo, certo, ma non riusciremo mai a ignorarlo completamente per seguire il nostro sentire interno.
Ritmo e melodia attingono in modo inconscio alla nostra esperienza passata, legata ad anni di ascolto della musica. Essi ci muovono, e in ciò riconosciamo un aiuto, ma ci allontanano dal presente. Sono fenomeni troppo familiari per essere ignorati, potenti nel richiamare un’energia ben definita, nel farci sentire bene e comodi, in una sensazione di piacere. Una zona di comfort che, tuttavia, non appartiene alla CI. Se osservate di nuovo la musica di improvvisazione, vi accorgerete di quanto sia imprevedibile, così come dovrebbe essererla la Contact Improvisation.
È interessante notare cosa accade nelle jam in cui c’è musica, diciamo più classica, strutturata sulla base di ritmo e melodia. Grande energia quando il suono è presente e poi crollo quando il brano finisce, con la cessazione del mondo degli stimoli, chiaramente affidato quasi esclusivamente a una fonte esterna. La musica non dovrebbe far danzare le persone, né catturarle emotivamente (le emozioni uniformano la sensorialità).
Nella mia concezione, non dovrebbe esserci un inizio e una fine della musica, bensì un’essenza sempre presente, a volte più intensa, a volte meno, a volte con il suo silenzio. Il silenzio come una qualità del suono.
Frequentare spesso le Silent Jam (senza musica) è un buon allenamento, soprattutto per i principianti, per non abituarsi eccessivamente a tale supporto e comodità.
Da quanto detto finora è evidente che il sistema dei loop (pattern), molto usato, rappresenta la negazione dell’improvvisazione, essendo un esaltazione della prevedibilità e del riempitivo. Miriamo ad un processo creativo, non ripetitivo.
Questa idea in stile “less is more” è ancor più a rischio quando ci sono più musicisti, che naturalmente non amano restarsene con le mani in mano. Ascoltarsi tra loro e comprendere a livello di gruppo il loro impatto sull’ambiente, non è affatto semplice. Richiede uno sguardo ed un ascolto panoramico.
Uno degli aspetti che può essere d’aiuto è comprendere che il tempo e la relazione tra silenzio e suono sono percepiti in modo diverso da musicisti e danzatori. Un pianista, per esempio, potrebbe annoiarsi nel fare una nota ogni dieci secondi, cosa che invece non disturba il danzatore, il quale riempie quel vuoto con il suo movimento. Questo disagio può facilmente portare il musicista a fare qualcosa in eccesso, togliendo spazio alla danza. La soluzione, che risolve anche la noia, sta nell’identificarsi con chi è nella Jam, risuonare con lui e con la sua percezione, vibrare con il suo corpo e trovare il senso anche nel silenzio.
Credo che sia veramente una grande arte di sensibilità suonare per i corpi in movimento. Creare un mondo di stimoli a cui i danzatori sono liberi di attingere o meno, come se i suoni fossero altri corpi, altre possibilità, rappresenta un meraviglioso regalo che il musicista può offrire allo spazio.
La Contact non ha bisogno della musica come un musicista non ha bisogno della Contact, e forse proprio per questo si può realizzare una connessione arricchente per entrambi.
Le Jam più belle, per me, sono quelle in cui non ricordo il tipo di musica che è stata suonata, ma so per certo che è stata presente. Non la riconosco più per ciò che è, ma per ciò che ha prodotto nella mia danza. Non l’ho ascoltata, l’ho percepita, e il mio corpo l’ha trasformata in movimento.
Quello della musica è un altro tema che è notevolmente cambiato rispetto alle origini, dove era spesso assente o si esprimeva con strumenti acustici suonati in modo minimale e sperimentale. Più che di musica, sfera che porta con sè troppe definizioni e pattern, bisognerebbe in effetti parlare di suoni, elementi più interpretabili e adattabili alle differenti percezioni.
L’interazione con il suono è molto difficile da codificare, è l’arte di gestire le atmosfere, abilità che richiede senza dubbio una sensibilità sopraffina.
Vorrei segnalare Qui uno scritto interessante, utile ai musicisti, con cui potete integrare la mia condivisione. Entra più nel detta- glio con consigli specifici.
Musica dal vivo è sempre preferibile, ma se proprio volete usare musica registrata vi consiglio tracce che non siano troppo corte (caduta dell’energia alla fine del brano) e, come spiegato, non troppo definite ritmicamente e sul piano armonico. Ho registrato diverse ore con questo tipo di impostazione e le potete trovare qui.